La terapia della Vulvodinia
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Scopri la terapia della vulvodinia.

Dagli studi più recenti in campo anatomopatologico è dimostrato che nelle pazienti affette da vulvodinia i tessuti vulvari e vestibolari presentano elevate concentrazioni di mastociti, cioè di quelle cellule responsabili delle reazioni infiammatorie.

 

A uno stato di cronica infiammazione è da attribuirsi la responsabilità dell’assottigliamento e della fragilità della mucosa di vulva e vestibolo vaginale nonché la presenza di eventuale gonfiore ed edema di queste strutture.

 

La liberazione da parte dei mastociti dei fattori dell’infiammazione determina nel tempo un incremento delle terminazioni nervose dolorifiche realizzando quindi uno stato di  iperalgesia che consiste nell’abbassamento della soglia del dolore fino, ad esempio, a far percepire un dolore lancinante in seguito a un semplice sfioramento.

 

La dimostrazione scientifica del danno tessutale e della neuropatia periferica ha dato spunto all’introduzione di terapie infiltrative locali, indicate nei casi:

 

  1. è possibile riconoscere una precisa topografia del dolore, ad esempio a livello del vestibolo o della zona clitoridea.
  2. quando la paziente lamenta dolore nei rapporti sessuali fino al totale evitamento.
  3. quando la componente della contrattura muscolare non è prevalente.
  4. quando non sono presenti patologie sistemiche associate, quali ad esempio la fibromialgia.

 

Tali tecniche infiltrative prevedono l’utilizzo di cocktails di anestetici locali e cortisone, iniettati nella sottomucosa,dove le terminazioni nervose sono più addensate.

 

Quando è prevalente la componente dell’ipertono muscolare, buoni risultati si ottengono con l’uso, di recente introduzione, della tossina botulinica.

 

Nell’ottica multidisciplinare, indispensabile per risolvere una malattia così complessa è nato un confronto fra la mia esperienza di ginecologa che da anni si occupa di vulvodinia  e il Dr. Francesco Casabona, chirurgo plastico impegnato nel promuovere una tecnica innovativa che trova applicazione, già da alcuni anni, in chirurgia plastica, nella terapia delle radiodermiti, delle cicatrici distrofiche e, ultimamente, nel trattamento delle sequele morfo-funzionali del lichen sclero-atrofico della vulva, con risultati molto incoraggianti così come pubblicato sulla rivista italiana di chirurgia plastica (40, 67-70, 2008).

 

Lo scopo è quello di ottenere la rigenerazione dei tessuti danneggiati mediante l’utilizzo di cellule staminali di derivazione adiposa.

 

Abbiamo quindi deciso di provare ad estendere questa nuova tecnica alla terapia della vestibolodinia, che da sola riguarda circa l’80% dei casi di vulvodinia che giungono alla mia osservazione.

 

Il trattamento consiste nell’autoinnesto di cellule stromali  di derivazione adiposa mediante lipostruttura in sede sottomucosa vestibolare e nella successiva infiltrazione intramucosa di plasma ricco di piastrine secondo una tecnica combinata.

 

Lo scopo della terapia è quello di ottenere un effetto rigenerativo del tessuto danneggiato tramite la stimolazione di fattori biologici che favoriscono un aumento della rivascolarizzazione e una neosintesi di collagene.

 

L’effetto potenziante e aggiuntivo è dato dall’uso di plasma ricco di piastrine di cui è ormai noto il ruolo nell’accelerare i processi di guarigione di tessuti cronicamente infiammati.

 

Abbiamo quindi selezionato alcune pazienti di età compresa fra i 30 e i 60 anni affette da vestibolodinia che, dopo essere state debitamente informate hanno aderito con entusiasmo all’intervento che si è svolto con sedazione in anestesia locale assistita e che ha comportato un semplice prelievo di sangue, una piccola lipoaspirazione della regione addominale e l’infiltrazione nella vulva.

 

Nell’anamnesi di queste pazienti erano segnalati trattamenti invasivi a livello vulvare, quali diatermocoagulazione o laser per condilomatosi, esiti cicatriziali di interventi chirurgici locali o locoregionali quali episiotomia, bartolinectomia, emorroiidectomia o trattamento di fistole o ascessi perianali, oltre a traumi della regione perineale.

 

All’esame obbiettivo presentavano vari gradi di eritema localizzato prevalentemente in sede vestibolare e, alla palpazione, la semplice pressione sulla zona infiammata produceva la comparsa di fissurazioni per la particolare fragilità della mucosa.

 

Con l’utilizzo dei consueti protocolli terapeutici cui erano state precedentemente sottoposte, si erano registrati alcuni miglioramenti ma non la completa remissione della sintomatologia; infatti le pazienti riferivano la ricomparsa dei disturbi in seguito all’uso di medicamenti topici o a una semplice stimolazione  locale.

 

Dopo l’intervento le pazienti, secondo l’ottica multidisciplinare, sono state seguite in parallelo dal ginecologo e dal chirurgo plastico; in alcuni casi hanno proseguito anche le terapie già in atto per la vulvodinia che in altri casi sono invece state gradualmente sospese.

 

Abbiamo assistito a un visibile miglioramento dell’aspetto clinico con un evidente ringiovanimento della mucosa del vestibolo e di tutta la vulva che presenta attualmente un colorito roseo e un aspetto turgido.

 

Contemporaneamente sono migliorati i sintomi soggettivi quali il bruciore vulvare e la dispaurenia.

 

Con questa tecnica innovativa è possibile intervenire sul circolo vizioso di mantenimento della malattia: infiammazione – dolore – ipertono muscolare restituendo al tessuto vulvare un certo grado di integrità.

 

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Parte 2 – Il trattamento multidisciplinare integrato della Vulvodinia